
L’integrazione: un abito di alta sartoria per paziente e terapista
a cura di Annachiara Aieta
“Sogno una psicoterapia compatibile con il mondo come sta andando.
Sogno una psicoterapia che sia in grado di integrare le famiglie, gli esperti, che provengano da discipline ‘psi’ o da altre discipline”
Tobie Nathan
Il percorso di formazione che conduce allo studio di un terapista incontra svariate riflessioni che in realtà non abbandonano mai il clinico, neanche durante la pratica quotidiana. Tra gli spunti che spesso sollecitano l’agire professionale vi è quello legato al tema dell’INTEGRAZIONE: nella formazione continua ricorre spesso questa tematica che per molti rappresenta una vera e propria esigenza e risponde a pieno ad uno specifico modus operandi.
Molte sono le metafore che si potrebbero utilizzare per ragionare intorno a ciò che avviene nella quotidiana pratica clinica; ad esempio quella del viaggio o quella dell’abito sartoriale. La prima nasce da mie considerazioni dei tempi della prima formazione e quindi delle prime scelte professionali: il leggere la terapia come un itinerario definito a bordo tra passeggeri, che possa toccare tappe fondamentali e che si spinga oltre i confini di ciò che è consapevolezza. Un viaggio che dal circolo vizioso dei sintomi, possa portare circolo virtuoso di ciò che è terapeutico.
La metafora sulla quale, invece, mi vorrei dilungare nella sua analisi, riguarda un rimando di un paziente che ho voluto fare mia, o meglio, che ha voluto diventare mia nel tempo.
Chiunque si rivolga alla bottega di un sarto riponendo nelle mani di un artigiano un’idea, uno spunto, si aspetta che gli venga restituito un abito cucito su misura, un modello unico e assolutamente personale; le fasi significative di questo processo creativo sono dunque quelle più progettuali e poi quelle esecutive. L’integrazione è ciò che accade all’interno di un laboratorio artigianale, è un graduale processo che si svolge a più livelli e a più fasi: l’approccio integrato più che un metodo, è una forma mentis che nasce prima di tutto nella mia testa e solo dopo, grazie a questo passaggio, può incontrare i bisogni del mio paziente.
In fase progettuale il terapista è un soggetto aperto ai contenuti delle diverse scuole, capace di adottare in maniera critica e responsabile le metodiche cliniche e scientifiche efficaci nel corso della pratica professionale; un ricercatore con l’esigenza di conoscere e comprendere l’inseparabile correlazione tra i diversi approcci. Tale atteggiamento previene il rischio di inseguire un dogma ed, al tempo stesso, offre l’opportunità di sperimentare una dialettica orientata ad una concreta integrazione di conoscenze e di strumenti.
Essere un terapista integrato significa mantenere viva la mia stessa curiosità, lo stupore, l’entusiasmo per il viaggio della comprensione del paziente. Forse la questione è che non tutte le tecniche sono adatte a tutti i pazienti in uno specifico momento del loro cammino di cambiamento. Non tutti comprerebbero un abito già preconfezionato.
L’INTEGRAZIONE È UNO SGUARDO FLESSIBILE SULL’ALTRO dove, come terapista, rinuncio alla sicurezza dei protocolli e delle taglie predefinite per mettermi in gioco in prima persona. Quanta flessibilità e capacità di adattamento non scontate sono necessarie nel nostro lavoro! FLESSIBILITÀ mi sembra la parola chiave di questo flusso di pensiero, essenza dell’integrazione stessa.
Nelle istituzioni o in ambito pubblico è un atteggiamento abbastanza naturale, poiché le varie figure professionali si integrano sulla base delle proprie competenze, della propria formazione, ma ciò appare meno scontato in ambito privato. Integrazione, infatti, significa anche trovare un linguaggio comune con colleghi, significa valorizzare le rispettive professionalità con l’unica fondamentale finalità di rispondere alla specifica esigenza della persona che si ha di fronte.
Essa rappresenta un’azione professionale quotidiana che richiede un’applicazione competente, partecipata e condivisa con il paziente. Ciò che si realizza durante un percorso di terapia è un modello unico, una esperienza unica. È possibile identificare dei fattori di efficacia comuni a tutti gli orientamenti terapeutici, come la relazione paziente terapeuta, la cosidetta alleanza terapeutica come fattore che predice l’andamento stesso della terapia, la rimotivazione ad affrontare e a riformulare i propri problemi, l’offerta di una teoria dell’eziopatologia, dell’origine dei sintomi. Molte pratiche integrative rappresentano criteri di opportunità clinica.
L’opportunità nella bottega del sarto è quella di trovare una risposta ad ogni esigenza, di sentirsi ascoltati nei propri bisogni e realizzare qualcosa di unico per sentirsi bene con se stessi a pieno.
Esistono, quindi, vari livelli di integrazione: teorico e tecnico, multidisciplinare. In questa continua ricerca, ci si focalizza sul proprio punto di vista, in uno sforzo di integrazione come valorizzazione del proprio stile terapeutico.
Flessibilità e continua ricerca potremmo dire siano l’atteggiamento del sarto che vuole rispondere al bisogno di unicità e restituire alla persona un prodotto pensato, studiato e unico. La cura in prospettiva integrativa è l’opportunità di costruire e coltivare un’individualità all’interno della relazione terapeutica. Non riparare o aggiustare un prodotto, ma realizzarlo, costruirlo, curarlo.
SUGGERIMENTI:
- Entra nel circolo virtuoso dell’integrazione tra teorie e tecniche, integrazione tra gli sguardi dei professionisti.
- Assumi uno sguardo flessibile sull’altro attraverso l’integrazione.
- Cogli nelle pratiche integrative dei criteri di opportunità clinica
- Valorizza il tuo stile terapeutico grazie all’integrazione.
- Coltiva l’individualità nella relazione.