Utopia e realtà. Suggerimenti per il lavoro in equipe

a cura di Claudia Zotti

“Gli anni migliori della tua vita sono quelli in cui decidi che i tuoi problemi sono tuoi… Capisci allora che sei tu a controllare il tuo destino”

 Albert Ellis

In un mondo idilliaco, per noi che lavoriamo nel mondo della riabilitazione rivolta a qualsiasi età la situazione più facile per ottenere dei risultati sarebbe quello di svolgere un lavoro in equipe. Un’equipe multidisciplinare che avvolge il paziente o cliente, che dir si voglia, a 360° ma molto spesso questo non accade. Quando parlo di equipe non penso soltanto ad altri professionisti, ma anche alla semplice struttura familiare che circonda il nostro paziente. E ancora, capita che un privato si trovi ad accogliere un paziente dubbioso del lavoro svolto da un ente pubblico che si rivolga ad un privato per avere chiarezza o un intervento complementare o integrato. Spesso, soprattutto in quest’ultima situazione accade che non riesca nemmeno ad avere uno scambio con l’ente stesso. Per tutti questi motivi io mi sono dotata di un VADEMECUM per potermi muovere all’interno delle diverse situazioni, cercando in ogni occasione di mostrare rispetto per l’operato degli altri senza però venir meno alla mia professionalità ed evitare di sviluppare frustrazione rispetto a determinate situazioni.

COLLOQUI MULTIDISCIPLINARE: molto spesso le famiglie mi chiedono la possibilità di interfacciami con gli altri professionisti che ruotano intorno al paziente. Nel modulo di presa incarico iniziale specifico che è nel mio interesse interfacciarmi con le altre figure, specifico che il colloquio ha un costo, che mi offro di organizzarlo se eventualmente le altre figure sono liberi professionisti, o che possono contattarmi se è una scuola o una struttura pubblica a chiedermi un incontro per fissare l’appuntamento. Laddove da parte delle altre figure ci sia resistenza a fissare l’incontro, ne parlo apertamente con la famiglia cercando di utilizzarla per creare un ponte tra i vari professionisti, specifico di utilizzare tuti i canali ufficiali quindi richieste scritte da protocollare alle strutture pubbliche oppure comunicazione via email o pec, in modo tale che possano esserci delle risposte chiare sul rifiuto di tali incontri che servono a conoscere e migliorare lo stato di salute del paziente.

UN NUMERO LIMITATO E PRECISO DI RIPETIZIONI: molte volte con le famiglie dei pazienti che seguiamo, specie se bambini, ci capita di sentirci impotenti. Tanti progressi fatti dal piccolo, o dei possibili miglioramenti che noi intravediamo, non vengono colti e magari nel tempo in cui dialoghiamo con la famiglia ci ritroviamo a parlare sempre dello stesso argomento senza ottenere nessun risultato. In queste situazioni dopo aver spiegato ed essermi dimostrata disponibile per un numero preciso di volte, inizio a prendere nota della data in cui abbiamo svolto la conversazione e descrivo in breve il motivo del colloquio avuto con la famiglia. Dopo di chè, ogni volta in cui la famiglia ritorna su quel argomento io fermo con decisione la conversazione riportando i dati degli avvenuti dialoghi e dei suggerimenti dati. Questo lo faccio sia per riportare ad un contesto realistico la famiglia, che magari dopo lunghi periodi si ritrova a porre le stesse domande, sia per evitarmi un sovraccarico emotivo. Perché spesso lo stato del malessere dell’operatore non è dato dal paziente mal dal contesto intorno poco motivante.

RISPETTO DEI RUOLI MA ANCHE TOLLERANZA: è vero che ogni professionista si specializza in un determinato settore, ma è anche vero che tutti i professionisti coinvolti dovrebbero lavorare in accordo e armonia intrecciando la propria professionalità con quella degli altri operatori coinvolti. Se penso ad un paziente in età evolutiva non posso non pensare a tutti i terapisti che gli ruotano intorno, ognuno specifico ma ognuno che nel proprio ruolo deve necessariamente entrare nel territorio dell’altro perché non possiamo pensare di lavorare per compartimenti stagni e allora ogni professionista dovrebbe condividere metodologie ed obiettivi da raggiungere insieme magari fissando degli obiettivi comuni. Ognuno rispettando la propria identità può apportare miglioramento e ricchezza al lavoro dell’altro.

NON POSSIAMO SALVARE TUTTI: credo che il primo vero insegnamento che il lavoro sanitario ci dà, è che non tutti i clienti/pazienti che seguiamo possono migliorare come noi prevediamo. Molto spesso ci sono delle situazioni di contorno che non permettono l’evoluzione che noi abbiamo previsto. A questo punto l’operatore entra in una fase di frustrazione che non gli permette di vedere e di sentirsi adeguato nei confronti di quel paziente. Il suggerimento per affrontare questa situazione è di fare ricorso alle REBT (terapia comportamentale razionale emotiva) che ci fa porre l’attenzione sul fatto che il modo in cui ci sentiamo emotivamente deriva da quello che pensiamo rispetto a quello che accade e non dall’evento stesso. Per aiutarci dobbiamo pensare che ci sono delle cose che non sono in nostro potere, che il nostro compito è quello di svolgere il nostro lavoro bene, che all’interno del nostro setting abbiamo potere rispetto alle situazioni ma all’esterno non è più una nostra responsabilità. Attraverso il razionalizzare le situazioni, i nostri pensieri saranno più sereni e di conseguenza il nostro stato emotivo migliorerà.