
Quando la LEI irrompe sulla scena: una riflessione sul tema della Morte
a cura di Alfredo Toriello
“La nascita non è mai sicura come la morte. E questa la ragione per cui nascere non basta. È per rinascere che siamo nati”
Pablo Neruda
Driinnn, suona il telefono all’alba.
“Dottore la volevo informare che stamane non potremo venire alla seduta, mio marito è morto, un infarto stanotte, non abbiamo fatto in tempo né separarci né a stare insieme…” (Una coppia che avevo visto per due volte, in piena crisi coniugale)
La morte irrompe nelle nostre vite personali e professionali e quasi sempre ci troviamo impreparati davanti ad essa, con una sorta di stupore innocente restiamo impietriti. Eppure nel corso della vita entriamo in contatto con la morte in vari modi, da bambini osserviamo la natura e i suoi corsi e ricorsi, la incontriamo nella fine di una relazione, nella perdita del lavoro, nei traslochi, o direttamente nel lutto per un familiare… Ma facciamo fatica ad averne vera consapevolezza perché guardare la morte negli occhi è terribile; mettiamo in campo tutte le nostre armi di distrazione e distogliamo lo sguardo; per qualche attimo forse serve, ma prima o poi quella consapevolezza riaffiora.
Antonia e Marcello erano una coppia in grande crisi coniugale, si rivolsero a me per essere aiutati a stare insieme, o a lasciarsi ‘bene’. Li vidi tre volte, il quarto incontro di consulenza non ci fu (per la coppia ) perché Antonio morì un mattino di novembre, all’alba; abbastanza inaspettatamente un infarto del miocardio mise fine ai suoi giorni.
Fu con dolore e stupore che accolsi la telefonata di Marcella, restando per più di qualche secondo in silenzio dopo che mi aveva annunciato questo lutto terribile.
Cosa avrei mai potuto dire?
La prima cosa che ‘sentii’ è che non c’era nulla da dire, potevo ‘solo stare’…potevo stare li al telefono, iniziare innanzitutto io a respirare ‘qui e ora’…non usare parole stonate, non tentare una rassicurante finzione… Ricordo, dopo tanti anni, che l’espressione ‘è terribile’ mi sgorgò dal profondo, un dolore sordo che aveva a che fare con la mia storia personale, con la terapia, con la coppia, con l’impotenza…
L’essere umano è una creatura con un dono speciale: l’autocoscienza. Un dono che gli consente di vivere le esperienze e di farne materia di riflessione; è questa la capacità che, forse, ha sostenuto maggiormente l’evoluzione psichica dell’umano.
Questo dono ha però un prezzo altissimo: la certezza della morte, propria e dei propri cari.
Malgrado questa centralità nella psiche umana, molto spesso la paura della morte trova poco spazio nelle stanze dei terapeuti: ‘solo’ parlare della morte fa paura, molti hanno la ‘fantasia’ che parlarne sia come scoperchiare il vaso di Pandora ed esserne travolti.
Dove trovare ispirazione, conforto, stimolo?
Ci può essere d’aiuto San Francesco d’Assisi che nella sua visione sistemica dell’esistenza assumeva la morte a ‘sorella’, una sorella che se ascoltata ci spinge a gustare i frutti della vita pienamente.
Cosa può dire un terapeuta dinanzi a questa angosciante certezza? Come si può lenire il dolore, che in varie forme, irrompe quando si ha a che fare con la morte? E’ da sempre che l’essere umano cerca un modo e la religione, la filosofia, i miti, i riti, sono tutti figli della angoscia esistenziale del morire.
Come terapeuta ho imparato che ci aiuta ritornare al ‘qui e ora’, che è necessario sentire che in ‘questo momento’ possiamo respirare e onorare la vita che abbiamo: un giorno finirà ma è molto utile tenere in mente ciò che abbiamo lasciato fluire attraverso di noi e trasmesso nelle nostre relazioni. Come un sasso lanciato in acqua ciò che diamo, e ciò che ci viene dato, si propaga oltre noi; pìù siamo in contatto autentico con il nostro vero sé più queste onde saranno significative.
La morte (reale o immaginata ) è sempre dolorosa ma è anche una grande fonte di illuminazione, se la possiamo usare può essere uno shock che ci richiama con fermezza alla finitezza dei nostri giorni e alla urgenza di viverli pienamente; ho fatto esperienza con molti dei miei pazienti che tentare di guardare fino in fondo questo terrore è un grande aiuto per il proprio benessere psichico, abbiamo ‘solo’ bisogno di qualcuno che ci stia vicino, che pur nella consapevolezza della solitudine della morte ci dica che non siamo ‘soli’, che qualcuno ricorderà.
La signora Marcella ritornò da me dopo un pò di tempo, era in preda all’angoscia, tra i rimorsi e i rimpianti non riusciva a ‘trovare una luce nella notte’.
Lavorammo a lungo sul come ‘sarebbe dovuto essere’, sulla colpa, sull’impotenza.
Un giorno le chiesi di portarmi le foto del matrimonio; mi portò una foto in cui Antonio la guardava sorridente, mi disse: ‘Avevo dimenticato questo sorriso, abbiamo smesso di sorride chissa perché… ma io me lo ricordo bene ora, non lascerò che muoia un’altra volta, quel sorriso posso essere io’.
Marcella aveva trovato nel dolore la forza di essere viva, qui, ora; Nella relazione terapeutica aveva avuto la possibilità di ‘pensare insieme’ e ammorbidire l’angoscia.
Da questa vita nessuno uscirà vivo ma possiamo tentare di non morire prima che venga la fine e aiutare gli altri a fare lo stesso.