
Il giusto credito: prendersi cura di sè nella relazione di aiuto
a cura di Mazzoleni Martina
“Se la tua compassione non include te stesso, è incompleta”
Jack Kornfield
Durante la scuola di specializzazione in psicoterapia, in una delle prime lezioni, abbiamo lavorato sull’esercizio del giusto credito. È stata una scoperta e un apprendimento che mi accompagna tutti i giorni.
Nelle relazioni di aiuto come le nostre siamo molto bravi a centrarci sui bisogni degli altri, ad ascoltare senza giudizio, a mettere a disposizione il nostro sapere, saper fare e saper essere.
Siamo per scelta e per vocazione chiamati a guardare le persone che abbiamo davanti, a fare delle diagnosi e a trovare il modo di lavorare con loro e per loro affinché il loro malessere o disturbo possa trovare una giusta via e trasformarsi in risorsa.
Tutto ciò che facciamo è guidato da basi scientifiche mischiate a rapporti interpersonali: non possiamo eliminare nelle relazioni di aiuto la parte umana. Sarebbe impossibile e anche dannoso.
Ma a volte succede, più che in altri lavori, che il prendersi cura degli altri possa avere come risvolto negativo la poca attenzione verso se stessi.
Quello che vi voglio raccontare è come utilizzare lo strumento del giusto credito, perché credo sia fondamentale per tutti, specialmente per noi del mondo socio-sanitario, non basarci solo sulla teoria ma trovare delle strategie pratiche che possano farci stare bene nel lavoro e non.
E allora in questo breve articolo cercherò di condividere con voi che leggete ciò che vivo e che mi aiuta a rimettermi al centro anche quando le giornate sono faticose e quando sembra di non ottenere risultati.
L’ESERCIZIO DEL GIUSTO CREDITO è molto semplice da spiegare ma difficile da applicare: consiste nel focalizzare per pochi minuti la propria attenzione, magari a fine giornata, su di sé per trovare dei piccoli meriti che ci riconosciamo, cose per cui ringraziarsi.
Attenzione, non si tratta di trovare una cosa bella successa e nemmeno di dare voce alla propria vanità.
È un atto di benevolenza verso se stessi, una dolce carezza che tiene conto delle fatiche ma anche dell’impegno. Non è legato ad un risultato raggiunto, ad una prestazione, ma piuttosto alla consapevolezza di aver dato il massimo che si poteva dare in quella circostanza.
Si chiama “il giusto credito” proprio perché è importante rivolgere a sé uno sguardo privo di giudizio ma reale e vero, e darsi nella giusta misura la possibilità di conoscersi meglio.
Se fatto con costanza e consapevolezza, questo esercizio ci accompagna nel nostro lavoro e nella nostra vita dando una spinta alla nostra autostima, alla nostra motivazione e cura di sé. Ciò non significa nascondere i propri limiti, anzi, spesso li evidenzia. Ma abbiamo la possibilità di non diventare il nostro limite e guardare a quel millimetro buono che c’è in noi, che siamo così bravi a trovare e curare negli altri.
Per me, aver imparato l’esercizio del giusto credito ha significato e significa poter vivere la relazione con i miei pazienti senza dimenticarmi che lo strumento principale della terapia sono io, come professionista ma anche come persona.
E se io sto sufficientemente bene, se sono centrata sui miei bisogni e consapevole, allora ho più probabilità di essere efficace nell’aiutare le persone a trovare le risorse in se stesse per stare meglio.
E come mamma, il giusto credito mi aiuta a non vedere le giornate faticose solo come un fallimento, ma come possibilità di migliorare e di accettarmi così come sono.
Quindi, BUON “GIUSTO CREDITO” A TUTTI: perché possiamo imparare non solo a dirci ciò che non va (lo fanno già in tanti da quando siamo piccoli), ma anche a nutrirci di quella sincera benevolenza che ogni giorno ci dà la carica per rimetterci in ascolto e al servizio degli altri.